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Channel: TR18 – Liceo classico “Dante Alighieri” di Ravenna – Teen Reporters
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Break the chain

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TR39_febbraio_2“Oggi vieni al Mac?”
“No, vado al flash mob.”
“Ma credi anche che conti qualcosa?”
“Conta, fidati.”
Riprende a camminare. Lo sguardo distratto oltrepassa la folla, le nuvole, le luci dei negozi. Un po’ rievoca la coreografia, un po’ medita. Siamo sicuri che conti qualcosa?

La piazza è gremita di persone. È soffocante. E loro, ci credono? In fondo, siamo solo esseri piccolissimi nella vastità dell’universo, piccolissimi anche per valicare il più antico pregiudizio. Il più classico, l’immortale. “L’uomo è migliore della donna.” Dai libri di storia alla cronaca è sempre la stessa solfa. Uomini con manie di possesso. Violenze, omicidi.

Ci pensa. Ma a lei non è mai capitato. No, decisamente non potrebbe succederle mai. Vero?

Una donna prende la parola. Il microfono è vecchio, e l’audio un po’ stentato.

Racconta storie di donne. Donne che hanno subito violenza, su più livelli, solo perché non erano uomini. A migliaia sono state perseguitate, picchiate, violentate. Alcune sono state uccise. In un lampo le viene in mente un corpo freddo, gli scempi di un coltello sulla pelle livida, negli occhi, un’ombra devastata di libertà. Perché aveva fatto una scelta diversa. Perché aveva detto un “no” di troppo. Perché si era innamorata. Ma di un altro.

Possibile che proprio ora, sotto questo stesso cielo, da qualche parte nel mondo ci sia una donna in queste condizioni? Possibile che non ci avesse mai pensato prima?

Continua. Donne licenziate perché aspettavano la gioia più grande: avere il loro bambino. Altre lasciate a casa perché (testuali parole) “troppo belle”. Donne capitate al momento sbagliato davanti a un branco di ubriachi. Non si può nemmeno chiamarli uomini. Prese, come se la vista di un panino giustificasse chiunque a appropriarsene e a mangiarlo. Donne perseguitate dagli stalker, isolate, tormentate. Donne costrette con la forza al lavoro di strada, spesso fuggite dal paese d’origine con la speranza di un futuro migliore. Donne, alcune, che non sono mai nate. Si chiama aborto selettivo. E le madri punite per non aver dato alla luce un maschio.

Un caso dopo l’altro, ripercorre vite intere. E il mondo sembra un posto un po’ meno bello da questo punto di vista.

Qui non succedono cose simili, vero? Però basta accendere la TV. Solo bamboline ingioiellate con un copione da recitare. Entri in un negozio di giocattoli, e per i maschietti ci sono automobiline, costruzioni, giochi scientifici e d’apprendimento. Le bambine hanno un bambolotto da cullare e dei trucchi, rigorosamente rosa. Inutile chiedersi perché.

Piuttosto, com’è possibile che non l’abbia mai saputo? Perché queste atrocità, queste discriminazioni, si sperava soffocate dall’emancipazione femminile, continuano tuttora? Come fanno a esserci ancora uomini che non riconoscono la nostra libertà?

Ci pensa. Pensa a come sarebbe una vita diversa, in cui non potrebbe abbracciare il suo migliore amico, guidare un’auto, votare. Che mondo triste.

È lì, sui sampietrini regolari della piazza. L’aria è fredda. La folla tace. La musica comincia.

Quella canzone è davvero bella. Nasce dolce. Si muovono i piedi, poi i fianchi, poi le mani. Le note riscaldano il sangue nelle vene.

We’re mothers
we’re teachers
we’re beautiful beautiful creatures

Fa del ballo la sua forza, la sua consapevolezza. È una promessa per un domani migliore, per un impegno nuovo.

Break the chain

Spezza la catena. La catena del sangue, del razzismo, quella che da troppo tempo ci cinge i polsi. Spezza la catena del silenzio, ancora più pericolosa. Non le riporterà come prima. Ma farà sì che le altre sappiano, che i giornali ne parlino, che i casi si riaprano. Conta, fidati.

Un’ ultimo applauso, se ne va. La mente continua a frizzare di una convinzione nuova, progetta già approfondimenti, adesioni ad associazioni specializzate. Poi arriva una rosa rossa. Già, San Valentino. Si interroga.

Gli prende la mano. Si allontanano sotto i primi fiocchi di neve. Il fiore giace in terra, un poco sciupato.

Articolo scritto da Arianna Babbi

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