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Channel: TR18 – Liceo classico “Dante Alighieri” di Ravenna – Teen Reporters
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Eta’: sette anni. Stato civile: sposata

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TR39_marzo_2Hanno quindici, sedici, ma anche dieci, otto, fino a cinque anni. Negli occhi c’è ancora la luce dell’innocenza, nelle mani sottili la voglia di pettinare una bambola, intrecciare corone di margherite. Chissà a cosa pensano prima di addormentarsi, chissà se hanno dei sogni, chissà se hanno paura. Questo dalle foto non trapela. Vedo solo delle bambine che vanno a sposarsi, truccate e ingioiellate, ma con lo sguardo spento, impassibile. Chissà se conoscono il futuro che le aspetta.

La realtà delle spose bambine è un problema diffuso in molti dei paesi più poveri al mondo, dallo Yemen alla Turchia, dall’Afghanistan all’India. Si stima che ogni anno 150 milioni di bambine e ragazze al di sotto dei diciotto anni siamo costrette a convolare a nozze contro la propria volontà, e che subiscano violenze di ogni genere dallo sposo e dalla sua famiglia. Uno sposo che è, in media, di undici anni più vecchio di loro, anche se spesso il divario è di decenni, fino a settant’anni di differenza. Questo perché in un ambiente privo di risorse, anche le persone diventano merce di scambio, con tanto di prezzo e garanzie, e la possibilità di essere buttate via come se nulla fosse.

Così una bambina può benissimo diventare il saldo di un debito, trasformandosi in un oggetto dapprima per la famiglia, che la baratta senza il minimo scrupolo di affetto o umanità, poi per il nuovo marito, che la considera solo come lo strumento che svolge i lavori di casa e dà alla luce i figli. Nei pochi rapporti delle associazioni umanitarie diventa solo un numero, letto, sfogliato, per poi ripiombare nell’oblio delle mille e mille ingiustizie che da sempre appestano il mondo.

Ma non è niente di tutto questo: è solo una bambina che ha il diritto di giocare, di ridere, di maturare con tanta calma quanta ne occorre. Ha il diritto di essere figlia, protetta e spensierata. Ha il diritto di innamorarsi liberamente, e di trovare la sua strada da sé. Soprattutto, ha il diritto di avere dei sogni, tanti e bellissimi come sono le stelle nel cielo, e deve poterli realizzare studiando, viaggiando, mettendosi alla prova. Diritti fondamentali, meravigliosi, per noi quasi scontati. Ma non lo sono per la quattordicenne afghana sgozzata dalla famiglia per aver rifiutato un pretendente. Né per Fawziya, la bambina yemenita morta di parto all’età di dodici anni. E nemmeno per Roshan, sposata a dieci anni, a diciotto è miracolosamente riuscita ad ottenere il divorzio dopo anni di torture inimmaginabili. È stata abbandonata dalla famiglia, perché per la tradizione afghana una donna divorziata è un disonore, e non può nemmeno vedere i due figli, sequestrati dall’ex-marito. Una sequela di violenze che continua da tempi remotissimi fino ad ora, in questo stesso istante. Hanno calcolato che viene siglato un matrimonio di questo tipo una volta ogni tre secondi.  Fortunatamente, molte associazioni umanitarie sono attive nei paesi più colpiti per salvare milioni di donne da un destino tragico e da una vita in catene. Le stesse donne si stanno ribellando al maschilismo cronico dominante; in poche parole, siamo agli albori di una nuova emancipazione femminile, come quella occidentale di cinquant’anni fa. Ma anche in alcuni paesi europei l’uguaglianza tra i generi dimostra carenze significative: episodi di stalking, violenze, omicidi, ma anche salari più bassi sul lavoro e licenziamenti più frequenti. In occasione del 21 marzo, festa della donna, spero che il mondo abbia riflettuto su queste problematiche e che non abbia dimenticato le grandi donne che hanno fatto la storia uscendo dalle mura domestiche, come  Rita Levi Montalcini,  Margherita Hack e tante, tante altre.

Articolo scritto da Arianna Babbi

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